Senza privati l’arte è a rischio

Intervista di Sarina Biraghi pubblicata sul quotidiano Il Tempo del 27.7.2014

Il mecenatismo? È come le lobby: cioè le cose normali negli altri paesi da noi sembrano impossibili o da guardare con sospetto. Eppure in Italia c’è un problema grave: senza i privati il nostro patrimonio artistico è a rischio.
Parla così il prof. Emmanuele Francesco Maria Emanuele, padre della Fondazione Roma che alcuni defini-scono un eretico illuminato, veloce e libero operativamente ma, purtroppo, frenato dalla burocrazia. Un limite per un riformista con la visione di cambiare la società, guidato da una spinta liberista strettamente coniugata con la solidarietà verso i meno fortunati. Partiti? mai iscritto, non ama sentirsi suddito ma ha la consapevolezza, oggi, di essere un cittadino senza libertà, una libertà che reclama se veramente viviamo in uno Stato di diritto. Uno Stato, però, che fa parte dell’Europa quindi costretto a confrontarsi e adeguarsi ad una «unione» ancora poco «unita».

Crede che il futuro dell’Italia sia l’Europa?
«L’Europa è l’unica ancora di salvezza tra il colosso americano e il rampante Oriente, ma l’Europa dei padri costituenti, quella in cui credettero uomini come Alcide De Gasperi. Non dunque questa Ue germanocentrica con caratteristiche diverse per ogni Stato: la diversa identità (del resto basti pensare a paesi come Estonia, Lituania…) fa sì che non abbiamo una politica economica, militare, culturale comunitaria. Siamo uniti soltanto dal libero scambio e da una moneta che è anche un problema che non si risolve con le urla di Grillo ma con soluzioni alternative».

Una visione antieuropeista?
«No, ma desiderio di un’altra Europa sì. In attesa che questo si realizzi, volgiamo però lo sguardo anche al Sud Europa e al Mediterraneo. Guardi, io sono un cantore del Mediterraneo: sono nato in Sicilia, terra di arabi, normanni, spagnoli, francesi, albanesi… mai avuto sentori razzisti verso il melting pot che siamo stati per secoli. Sono stato delegato per l’Italia del Consiglio Mediterraneo della Cultura dell’Unesco e sono stato anche ambasciatore dell’Ordine di Malta, sempre presso l’Unesco, proprio perché mi sono prodigato affinché le diverse etnìe possano convivere e svilupparsi armoniosamente. Con la Fondazione Roma-Mediterraneo, (mia creatura dal 2008) che opera nelle aree dello Sviluppo economico e sociale, della Formazione, dell’Arte e del Dialogo interculturale dei Paesi del Mediterraneo, incoraggiando e sostenendo la realizzazione di iniziative comuni che conducano alla riscoperta di valori ed interessi condivisi, siamo stati protagonisti di quattro intensi giorni all’insegna dell’integrazione culturale nelle province spagnole di Valencia e Cordoba. In questa occasione, a Valencia, mi è stato conferito dall’Unesco il premio «Multaqa de las tres culturas», per il mio impegno decennale a favore del Mediterraneo. E sempre nell’ottica di una visione unitaria che annulla ogni differenza, svolgiamo la nostra opera non soltanto a Roma. Abbiamo aperto una sede a Napoli cominciando con l’iniziativa «Partono i bastimenti», abbiamo una serie di iniziative nelle due sedi di Catania (a palazzo Valle abbiamo organizzato la mostra sui coralli, quella sull’artista americana Louise Nevelson e sul pittore cubano Julio Larraz); abbiamo una sede a Palermo, a palazzo Branciforte (dove a ottobre a Palazzo Zito faremo una mostra di pittura sociale dell’Ottocento) mentre a Favignana è in corso una grande mostra di pittura contemporanea siciliana, da noi sostenuta e realizzata».

Insomma il Mediterraneo è il suo «chiodo» fisso?
«Per vivificare un mondo che ha una valenza notevole e che merita attenzione, io promuovo una riflessione politica mediterranea. Ho già dato un progetto al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, On. Luca Lotti: un progetto nato dal lavoro di due commissioni e dalla nostra conferenza del 2010 «Mediterraneo: porta d’oriente» proprio per dialogare con un mondo lontano ma a noi molto vicino. Del resto noi siamo figli della tradizione culturale mediterranea e proprio grazie a questo passato possiamo guardare al futuro, promuovere iniziative comuni e scoprire valori condivisi e, soprattutto, alimentando il senso di appartenenza ad una cultura si sviluppa quello dell’accoglienza e dell’integrazione. Del resto non possiamo dimenticare che anche noi siamo stati migranti verso le Americhe… Questo è il mio modo di fare politica, con la cultura, mezzo fondante del dialogo».

Dalla partecipazione al restauro della Cattedrale di Sant’Agostino di Ippona, ad Annaba in Algeria, del monastero di Deir Mar Musa in Siria, al contributo stanziato per la ristrutturazione di alcuni spazi dell’Istituto dei Monumenti di Cultura a Tirana, in Albania, alla promozione della musica italiana a Tunisi fino a Cordova dove fare iniziative dove sono presenti vestigia romane…Mediterraneo e Roma?
«L’impegno a Roma nella cultura è finalizzato alla rinascita del paese, ma la Fondazione Roma ha un impegno multiforme e lungimirante su cinque obiettivi: sanità (nella capitale e in provincia) intesa anche come ricerca scientifica, all’aiuto dei meno fortunati, istruzione cultura e Mediterraneo.
A Roma stiamo realizzando un centro che sarà un piccolo ‘borgo’ per malati di Alzeimer per ricreare le condizioni di vita che avevano prima della patologia (ne ho visitato uno in Olanda e ritengo che possa essere una soluzione utile), poi pensiamo ai bambini e ai malati terminali…»

Cittadino del mondo con sete costante di apprendimento, il prof non ha soltanto tanta cultura ma un’enorme sensibilità che gli deriva da un padre e un nonno medici entrambi, da cui la sua attenzione alle tematiche della salute. Parliamo di Roma e cultura.
«Io penso alla cultura a Roma con duplice visione da una parte la realizzazione di grandi mostre dall’altra penso alla grandiosità della città, come un atto dovuto per chi vive ed ha a cuore la capitale. La prossima mostra che faremo sarà dedicata al barocco, poi ne faremo una sulla civiltà della Mesopotamia e Magna Grecia, sugli influssi ricevuti ma anche quelli dati dalla nostra terra. Sto attento agli influssi contemporanei, ed ecco mostre americane a partire dall’attuale su Warhol, a quella prossima su Rockwell».

Uno sforzo notevole per un privato…
«Vero, uno sforzo che parte dal presupposto che solo l’energia del privato riesce a dare risultati; è questa la strada vincente perché la sinergia pubblico-privato si scontra troppo spesso con una visione limitata e sospettosa… come se il privato avesse chissà quale ritorno recondito… Pensi che io ho proposto di realizzare alcuni restauri nel centro storico e l’amministrazione non mi ha neanche risposto…»

L’art bonus previsto dal ministro Franceschini è una strada?
«Sì ma non basta, perché il privato non deve solo dare denaro ma deve partecipare alle scelte e contribuire alla gestione. Per farlo serve eliminare quella burocrazia che disincentiva e blocca ogni iniziativa. E questo è ciò che chiediamo al Ministro Franceschini».

In concreto?
«Io chiedo che su due cose, presenti nell’art.9 della Costituzione, cultura e ricerca, siano definiti ruoli e contorni e specificati ambiti e competenze. Inoltre che l’art. 118 della Costituzione venga integrato da norma che preveda una sanzione per chi non risponde: il silenzio non può essere rifiuto, un paese “padre” delle Misericordie non può vietare l’intervento del privato sulle cose pubbliche. Quando non mi consentono di restaurare un monumento in disfacimento, mi si limita come cittadino libero. Mi si deve spiegare perché».

Lei è stato il primo a chiedere al ministro dell’istruzione il ritorno della storia dell’arte a scuola.
«Certo e reclamo il mantenimento di questa promessa. La cultura con il suo peso immateriale, vera energia pulita del nostro paese, va portata avanti, vanno sbaraccati gli organismi inutili. Malgrado le poche risposte io vorrei uno Stato che capisca il valore della cultura e lo faccia motore dell’economia, perché non abbiamo niente ma solo l’incanto delle nostre città tutte capolavori di bellezze».

Professor Emanuele lei, «oltre» tutto, è sicuramente un mecenate: quanto la infastidisce la perenne riserva sulla sponsorizzazione che genera una percezione negativa, quasi che l’intervento sia finalizzato ad un ritorno personale…
«Il mecenate non chiede ma agisce solo per spirito filantropico, per vicinanza al bene collettivo. Ecco, da noi si traduce in ‘non ti vogliamo’ proprio perché sei un privato. Quella che in altri paesi è una molla da noi è un male. L’ultima in ordine di tempo: io che sono nato, ho vissuto e scrivo di Mediterraneo, vorrei collaborare con le autorità pubbliche per recuperare il Museo dell’Africa orientale di Villa Borghese messo in liquidazione dall’Isiao. Ma non ricevo risposte e mi pare incredibile che questa testimonianza vada persa…»

Anche una ricchezza che si disperde: insomma, non si riesce a credere che la cultura è economia (come lei ebbe a dire il “pic”, prodotto interno culturale) che potrebbe contribuire al pil del nostro paese?
«Le attività della Fondazione sono culturali ma anche sociali ed economiche. È per questo che ripeto da sempre che per la cultura servono manager capaci di far quadrare i bilanci e promuovere il «bene» che è un prodotto. E per rendere la cultura «economia» occorre sempre di più liberarla dalla burocrazia. Questa filosofia è importante diffonderla tra i giovani affinché apprezzino da piccoli le arti e da adulti ne traggano anche occupazione, perché soltanto la cultura, oggi, in questo paese senza più industrie, commercio e agricoltura, può essere uno strumento di rinascita. Però prima bisogna avvicinare i bambini all’arte e poi formare i giovani affinché diventino manager competenti consapevoli di “maneggiare” una ricchezza da valorizzare e non da accettare, talora, quasi come un impedimento».

Per concludere, che ne pensa del boom del commercio dell’arte moderna e soprattutto dei prezzi elevati di certi artisti?
«L’arte è l’espressione del sentire interiore, quindi ogni artista e ogni epoca ne sono testimonianza. Bisogna accettare la commercializzazione della cultura anche se oggi forse l’idea della vendita supera l’intima ispirazione… in effetti spesso è sproporzionato il rapporto tra l’opera e il valore ma non si possono colpevolizzare né i mercanti d’arte, né gli artisti, né la gente che acquista… Possiamo certamente educare di più all’arte, questo sì…».

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